Cort’e josso

[…]

Solo alle donne parlava quell’acqua benedetta,
solo a loro ubbidiva in quel miracolo muto nella sparizione,
per cui tutto ritornava ripulito e bianco
come la parola che si lavava in bocca
tra la preghiera e il canto.

L’acqua lo sapeva di tutto quel dolore
dei figli non voluti e di quelli tanto attesi
e mai arrivati, dei gesti tra le mani
ai funerali, dei silenzi sepolti nelle ossa
che richiamavano i vivi a un altro mondo,
tutto l’acqua sapeva, ascoltava e intanto
scorreva svuotando la vasca dal fondo
portandosi via il sapone e il peccato
facendosi chiara, ancora, ed innocente.

È femmina l’acqua per noi ed è madre
e per questo lei forse tutto perdona
e protegge, se non fa rovina di piena
o non si nega per mesi lasciandoci
sete e terra cocente.

Ma qui in questa frescura,
mai l’abbiamo vista mancare
pietosa le anime ha continuato a lavare
anche quando le donne nel tempo
hanno smesso l’andare.

Da In sos àidos. Lettera a Virginia Farina di Alberto Masala

E già dalla dedica si è dentro. Affetti e storie. Spirito e sguardo. Realtà e storia.
Consapevole o forse soltanto istintiva, ma questo davvero poco importa, ogni tratto della scrittura va nel profondo a comporre una visione, un’immagine all’occhio e alla vista interiore. Virginia, la tua voce racconta l’essenza immateriale dello sguardo sulle cose, sui luoghi. Le tue parole ne sanno riprodurre l’anima, scriverne la luce.

Dalla prefazione di Giuseppe Martella

Nella poesia di Virginia Farina, dove si sposano schiettezza e pudore, si consuma un reiterato passaggio fra la comunità arcaica e la società moderna, anzitutto con riguardo al suo paese nativo ma che poi anche si estende, fra mappe e storie, nelle spirali del tempo, a coprire l’intero ecumene, oggi più che mai sull’orlo del disastro in nome di un malinteso progresso.