LA MATERIA DELLA MEMORIA

Da dove nasce una guerra? Di che cosa si alimenta un conflitto?

Prima ancora che nelle condizioni esterne c’è qualcosa che si forma all’interno di chi ne è coinvolto, qualcosa che sta al limite della coscienza e che fa da motore ad ogni azione di offesa. E’ l’immagine del nemico, che prende corpo attraverso ciò che di esso viene raccontato, o ciò che attraverso qualche indizio si può soltanto immaginare. Ed è quest’immagine che poco a poco diventa corpo obiettivo su cui proiettare tutto il male.

Viaggiando per i Balcani, per il Kosovo in particolare, mi sono interrogata spesso sul come fosse possibile che persone vissute per anni fianco a fianco improvvisamente diventassero nemici e cercassero di sterminarsi vicendevolmente. Non ho trovato risposta, solo altre domande che non possono non coinvolgere i meccanismi con cui ognuno di noi si relaziona all’altro, o meglio alla sua immagine.

Tra le tracce più evidenti del conflitto, accanto alle case sventrate e alle menti ferite, ho trovato proprio le immagini: le vecchie fotografie tombali dei serbi sepolti nel vecchio cimitero di Peja-Pec, deturpate da alcuni albanesi per cancellare anche l’ultima memoria della loro presenza sul territorio, e quelle degli albanesi scomparsi nei campi di concentramento, nelle fosse comuni disseminate per il paese, appese alla cancellata dell’ONU a Pristina per chiedere una qualche giustizia e slavate dal tempo, dalla pioggia e dal sole che hanno continuato a scorrere sull’assenza.

Sono immagini contrapposte eppure complementari, dove le due parti finiscono per incontrarsi proprio nella vulnerabilità, nella fragilità di una memoria che sfaldandosi nel tempo ritorna al mondo come materia.